Il ministro Bonafede è riuscito a trasformare un atto di giustizia in una sceneggiata medievaleggiante condita da una "gaffe" di comunicazione. A guadagnarne? Ancora una volta Salvini.
Si sa: in questi giorni la notiziona è stata l'arresto di Cesare Battisti, il terrorista rosso pluriomicida latitante da quasi 40 anni e beccato in Bolivia dopo essere fuggito dal Brasile. In poche ore si è visto fiondato con un volo transoceanico dalla stazione di polizia di Santa Cruz all'aeroporto di Ciampino, nel Lazio, e poi al carcere di Oristano, in Sardegna.
Ad accoglierlo, come anche giusto che sia, se vogliamo, data la caratura del caso e del personaggio, un codazzo di forze dell'ordine, giornalisti e politici, con in testa i ministri Salvini e Bonafede. E proprio Bonafede (e con lui il suo staff) ha organizzato una "presa diretta" in stile Grande Fratello per raccontare minuto per minuto l'incarcerazione di Battisti.
Battisti, dopo quello che ha fatto, deve pagare e finalmente pagherà. Solo che quello che è successo dal suo arresto in poi è stata una sorta di vendetta collettiva, una catarsi in cui le frustrazioni di un Paese si sono riversate sull'olocausto da sacrificare: Battisti, appunto.
Quel "poveretto", malato e all'età di 64 anni (non vecchio ma neppure un giovincello), si è visto sballottolato e spiattellato sul patibolo mediatico come nel Medioevo venivano esposti i condannati a morte, fino a che non venivano arsi o penzolanti a una corda.
Ma quella era la giustizia della vendetta, non la Giustizia della riabilitazione e del reinserimento nella società propria di uno stato di diritto del XXI secolo. Se noi ripudiamo la pena di morte (anche mediatica), lo facciamo anche per dimostrare che noi siamo meglio di loro, che noi vogliamo e siamo per la giustizia, non per la vendetta, per il pentimento e per la penitenza, non per la punizione fine a sé stessa. Forse rileggere Cesare Beccaria e il suo Dei delitti e delle pene, non farebbe tanto male al "bon" Bonafede, che infatti si è ritrovato tempestato dalle polemiche e dagli improperi di chi si è risentito di questa inopportuna spettacolarizzazione, a cominciare dalle Camere penali e dal Garante dei detenuti, per non parlare delle scontate opposizioni.
Ma non solo: Bonafede si è poi messo il carico da 11 da solo quando si è fatto ritrarre col giubbotto della Polizia Penitenziaria, un po' a scimmiottare quanto finora fatto da Salvini con le divise di Polizia e Vigili del Fuoco per fidelizzare ulteriormente le forze dell'ordine e un elettorato simpatizzante di destra.
Solo che Bonafede (e ancora una volta il suo staff) si è dimenticato di una importante regola non scritta della comunicazione: quella secondo cui fra la copia e l'originale, la gente preferisce sempre l'originale. In più, a combattere sul terreno del nemico, non si fa altro che favorirlo (Sun Tzu). E anche su questo caso, giù con una valagna di critiche e sfottò un po' da tutte le parti (ma questo è solo il danno minore).
Allora, forse, piuttosto che girare un docufilm sulla vendetta o giocare a guardie e ladri, il ministro avrebbe fatto meglio a leggere un libro. Magari Dei delitti e delle pene. O L'Arte della guerra. Avesse scelto lui...
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