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Immagine del redattoreGiuseppe Giordano

Elezioni in Regno Unito: la vittoria di Johnson, la caduta di Corbyn e la Brexit definitiva

Aggiornamento: 14 dic 2019

Nel Regno Unito si sono celebrate le elezioni anticipate, dovute al vicolo cieco in cui il Parlamento e il Governo di Westminster si erano infilati nell'incapacità di risolvere la crisi sulla Brexit. La vittoria dei Conservatori è stata schiacciante, ma il bello deve ancora venire...



Giovedì 12 dicembre, nel Regno Unito si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Parlamento britannico dopo la serie di flop che hanno fatto fallire le trattative post Brexit tra l'Unione Europea e il Governo di Sua Maestà guidato prima da Theresa May e poi dal suo ex ministro degli Esteri, Boris Johnson.


Boris Johnson, Conservatives, Tory, Tories
Boris Johnson (by Twitter) - #cosedispin

Lo stesso Johnson ha chiesto alla Regina Elisabetta di sciogliere il Parlamento e andare alle urne per risolvere l'impasse dovuto all'impossibilità di trovare un accordo, e anche per risolvere le spaccature interne ai Conservatori.


Ora queste spaccature non sono state del tutto superate, ma adesso il Premier, che ha ottenuto un successo che non si vedeva dai tempi di Margaret Thatcher, gode di un mandato pieno da parte del popolo che gli ha chiaramente detto: "we want Brexit!" Di fatti un secondo referendum dopo quello del 2016.


Il risultato è stato un disastro per il Labour Party e per il suo evanescente leader, Jeremy Corbyn, il quale, senza mai far capire davvero quale fosse la sua opinione o quale la sua soluzione (questa ambiguità: grave errore, come quello che commise il M5S alle scorse Elezioni Europee), ha solo promesso che, in caso di sua vittoria, avrebbe proposto un nuovo referendum.




LA CAMPAGNA ELETTORALE


I Tory, come le Destre in generale, da Bush a Berlusconi, da Trump a Salvini, si sono confermati abili comunicatori.


Hanno lanciato pochi messaggi e precisi, concentrando la propria campagna sul tema più forte, quello di un esito referendario che già c'era stato e che occorreva rispettare, portando lo United Kingdom fuori dall'Unione Europea.


Johnson, inoltre, è un personaggio forte ed eccentrico, istrionico, che, al contrario di quanto potessero pensare gli opinionisti radical chic, ha creato un link emotivo col suo popolo, sparso in particolare nelle periferie e fra le classi più deboli (operai in primis) e anti-establishment.



Il suo principale avversario, Corbyn, invece, è apparso quasi anonimo, non ha chiarito se era favorevole o contrario sulla Brexit, ha rimandato a un secondo referendum, ha "minacciato" di ricominciare tutto da capo, e ha vanamente cercato di spostare l'attenzione sulla paura che Johnson incute sulla pelle degli immigrati e sulle colpe che dà ad altri per la mancanza di sicurezza.


La sua è stata una campagna piatta, fatta, come troppo spesso sbagliano a fare le Sinistre mondiali, parlando al cervello invece che al cuore, senza creare alcuna empatia col pubblico. Basta guardare il suo spot per capirlo...



Per non parlare di quando si era presentato travestito da Babbo Natale facendo la parodia di un vecchio e famoso spot della Coca-Cola, lui che è un socialista e che proponeva "a real change" (un vero cambiamento), salvo poi ritirare lo stesso spot dopo le proteste della compagnia (simbolo del grande capitalismo mondiale). Imbarazzante, direi...




LA POLARIZZAZIONE SULLA BREXIT


Il tema principale su cui si è incentrata tutta la campagna elettorale è stato dunque la Brexit. Johnson ha proposto un programma chiaro e inquivocabile: "Get Brexit done!", realizziamo la Brexit! Regno Unito fuori dall'Unione Europea entro il 31 gennaio.



Dopo 3 anni passati a discutere su come e se chiudere l'accordo sulla Brexit senza cavare un ragno dal buco, era normale incentrare su questo tutto il dibattito, anche perché, da parte sua, Corbyn non è stato in grado di esprimere una posizione precisa al riguardo, al punto da essere riuscito a perdere consensi sia fra chi al referendum aveva votato per il Leave (e questo era ovvio) sia fra chi aveva votato Remain.



Una posizione precisa che invece hanno assunto gli altri, sì da essere premiati in termini di voti e di seggi.


È innanzitutto il caso del SNP (Scottish National Party, Partito Nazionale Scozzese) di Nicola Sturgeon, che, in una terra desiderosa di secessione e anche per questo favorevole all'UE come la Scozia, e dunque in opposizione a Johnson e al Leave, è cresciuto in termini sia percentuali che di seggi conquistati.


Percentualmente sono cresciuti pure i Liberal-Democratici (Lib-Dem), che però hanno mantenuto gli stessi seggi rispetto al 2017 e anzi la loro leader Jo Swinson ha addirittura perso nel suo collegio.


Un Regno dis-Unito

Proprio la dicotomia Brexit or not Brexit ha poi evidenziato la spaccatura tra i territori. Detto della Scozia, lo stesso è successo nell'Irlanda del Nord, dove comunque storicamente il voto si è suddiviso fra Partito Unionista (DUP) - pro Brexit e legato ai conservatori - e gli autonomisti del Sinn Fein - autonomisti e anti Brexit -.


Idem fra le città e le periferie, col Labour che ha vinto nei centri industriali ed economici come Londra, Liverpool, Manchester, Birmingham, Cardiff, ma anche in un collegio a Edimburgo, la capitale scozzese.


Diversi analisti hanno sottolineato (secondo me a ragione), come Johnson abbia sicuramente vinto le elezioni, ma probabilmente perso il Regno Unito.


Attorno alla Brexit la spinta secessionista troverà nuova forza in Scozia, mentre l'Ulster è letteralmente spaccato in due fra unionisti e autonomisti.



IL POST VOTO


Alla faccia dei tanti che dicevano che un secondo refenedum avrebbe visto la vittoria del Remain, ora che Johnson ha messo le cose in chiaro al Governo e anche all'interno degli stessi Conservatori, si va verso l'uscita ufficiale del Regno Unito entro il 31 gennaio, anche se occorrerà aspettare almeno tutto il 2020 perché diventi effettiva.


Se poi le promesse che ha fatto nel suo primo discorso circa l'assunzione di più medici, infermieri e poliziotti e la crescita economica saranno mantenute, BoJo avrà gettato le basi per restare a lungo a Downing Street.


Jeremy Corbyn, Labour, Labour Party
Jeremy Corbyn (by Guardian) - #cosedispin

Da parte sua, invece, il Labour ha subito una gravissima sconfitta, e Corbyn ne esce con le ossa rotte.


La sua carriera politica è giunta al capolinea, e infatti ha già annunciato che non si ricandiderà più, anche se diversi dei suoi hanno chiesto dimissioni immediate.



 
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