Passato il periodo più critico della pandemia da coronavirus, è tempo di pensare alla Fase 2 e avviare la ricostruzione. Ma il futuro sarà e dovrà essere diverso. Vediamo allora 5 possibili caratteristiche del mondo di domani.
Il coronavirus non ferma e non fermerà il mondo. Ma il mondo ha bisogno di cambiare registro, sia per affrontare e superare la pandemia sia per non commettere domani gli errori che abbiamo commesso fino ad oggi.
Un proverbio che a me piace molto dice:
La notte è più buia poco prima dell'alba.
Quella che stiamo vivendo in questi mesi e forse anni è certamente l'"ora" più buia della nostra epoca recente, qui alle nostre latitudini.
Tuttavia, non è la "fine del mondo" nel senso stretto del termine. Semmai è la fine di un sistema, di un paradigma, e un paradigma nuovo, di cui stiamo cominciando ad intravedere i primi bagliori, ne dovrà necessariamente prendere il posto.
Come riporta la MIT Technology Review, la rivista del rinomato Massachusetts Institute of Technology, in un articolo intitolato We’re not going back to normal (Non torneremo alla normalità), la crisi pandemica non è venuta per andare via subito, bensì per restare. Almeno per i prossimi anni, a ondate, col suo carico di mascherine, distanziamento sociale, quarantene e lockdown periodici e così via.
Per questo, in vista del ritorno di una nuova alba, dobbiamo prepararci per essere pronti a ripartire immediatamente.
Sì, ma come? Quale sarà il mondo che ci aspetterà fuori da quella porta? Senza la presunzione di essere degli oracoli, proviamo a immaginarlo in 5 punti...
1. GLOBALIZZAZIONE RIDOTTA E DIVERSIFICATA
Al di là della dinamica virologica su come il COVID-19 è arrivato a colpire l'uomo, la causa principale della pandemia, ovvero della diffusione della malattia su scala planetaria, è la globalizzazione.
La Cina, il Paese da cui tutto è cominciato, è uno dei più grossi poli commerciali mondiali, e da lì il virus è "saltato" sulle spalle dei viaggiatori per arrivare via via in Corea, in Giappone, in Tailandia, negli Stati Uniti, in Francia e solo dopo in Italia e nel resto del mondo, come mostra il seguente grafico.
Ciò non vuole essere un mero attacco ad un fenomeno come la globalizzazione che ha accresciuto e distribuito la ricchezza globale, tolto due miliardi di persone dalla povertà, avvicinato popoli e commerci, fatto conoscere culture diverse... È solo la constatazione di una sua nefasta implicazione, di un suo "effetto collaterale".
Per fermare il contagio sono stati nuovamente chiusi i confini e ridotti all'osso gli scambi commerciali internazionali, mandando in frantumi decenni di globalizzazione.
Se buona parte delle fabbriche e dei negozi si riforniva di prodotti provenienti dall'estero, principalmente Germania e Cina, d'ora in avanti non sarà più così. O, meglio, non dovrà più essere così.
Questa "deglobalizzazione", insieme al fenomeno del reshoring (il rientro in patria delle aziende che prima avevano delocalizzato all'estero), sarà probabilmente nell'ordine naturale delle cose anche nel prossimo futuro, con un restringimento delle possibilità di spostamento e commercializzazione da un Paese a un altro. Tali imprese dovranno non solo diversificare le fonti di importazione, ma anche puntare molto di più sulle filiere locali e sul Made in Italy, e quindi sulla produzione nazionale, che è più vicina e più sicura.
Se non arriveremo alla fine completa della globalizzazione, assisteremo comunque a un suo restringimento e a una sua diversificazione, con una nuova tendenza alla "nazionalizzazione", intesa come ritorno entro i confini nazionali delle catene di produzione, per quanto possibile.
2. CITTÀ PIÙ A MISURA D'UOMO
Questa deglobalizzazione si rifletterà altresì nelle nostre città, nei luoghi di lavoro, nei tragitti per andare verso di essi e nelle nostre stesse abitazioni.
Potremmo andare infatti verso una maggiore prossimità, come spiega l'architetto Maurizio De Caro in un'intervista all'Accademia delle Imprese Europea: «la città del futuro forse ritroverà nell’uomo la sua centralità, nel cambiamento dei rapporti interpersonali e nella creazione di spazi flessibili, polifunzionali, che usino materiali naturali, sostenibili e magari a km 0».
Città più vivibili vuol dire città più salubri, meno inquinate e meno affollate. Ciò potrebbe comportare una polverizzazione delle sedi di commercio e di lavoro con distaccamenti periferici opposti alle grandi agglomerazioni degli ultimi anni. Vedremo così anche una riduzione del numero degli spostamenti e un accorciamento del tragitto di percorrenza casa-lavoro (persino i mezzi di trasporto dovranno essere riqualificati). Ovviamente l'obiettivo sarà la riduzione del rischio di contagio fra i pendolari.
Questo cambiamento urbanistico ed architettonico probabilmente dovrà avvenire anche negli ospedali e nelle case.
Uno degli elementi che hanno favorito il contagio del COVID, mietendo molte vittime pure fra i medici e il personale sanitario, è stata appunto la concentrazione dei malati in luoghi affollati e inadeguati come gli ospedali (o, peggio, le Residenze Sanitarie Assistenziali, RSA).
Dovremo fare in modo che ciò non accada più riorganizzando e ristrutturando i nosocomi e aumentandone il numero per redistribuire meglio i degenti, ma anche adibendo le nostre stesse case con camere appositamente predisposte al trattamento dei malati, di modo che possano curarsi in un ambiente familiare, vicino ai propri affetti ma comunque a distanza di sicurezza.
E se è vero, come vedremo più avanti, che il tele-lavoro e il tele-studio sono il futuro, le nostre abitazioni dovranno diventare sempre più non semplici "dormitori" come fino ad ora, ma luoghi da vivere in tutto e per tutto, con ambienti adeguati proprio allo studio e al lavoro, con tutti gli spazi necessari per i piani di lavoro, schermi per le videoconferenze, computer, ecc., ecc.
Si tratta chiaramente di un percorso lungo e dispendioso, che richiederà un forte ruolo di guida del cambiamento da parte degli Stati e delle loro leadership politiche, però se non vorremo ritrovarci ancora impreparati di fronte alle prossime epidemie, non potremo fare molto diversamente.
La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi
3. UN'ECONOMIA PIÙ DIGITALE
La crisi da coronavirus porta con sé una crisi economica e produttiva senza precedenti.
Con la recessione che si prospetta, fra chiusure definitive e boom della disoccupazione, sarà difficile effettuare investimenti in macchinari e infrastrutture. Anzi, è prevedibile una loro contrazione per far spazio agli adeguamenti necessari per garantire clienti e dipendenti in relazione al distanziamento fra persone e ai Dispositivi di Protezione Individuale (guanti, mascherine, barriere, ecc.).
Tuttavia, le imprese che sopravvivranno dovranno mirare pure ad altri tipi di trasformazioni: dovranno innovarsi dal punto di vista tecnologico e digitale e, per evitare la catastrofe ambientale definitiva, dovranno diventare pure più green ed ecosostenibili.
L'evoluzione digitale era quasi un obbligo nell'Era pre-COVID. Oggi lo è totalmente e lo sarà ancora di più domani.
La quarantena dovuta al coronavirus ha stoppato le vendite offline e fatto esplodere quelle online degli e-commerce, al punto da diventare insostenibili persino per un gigante come Amazon.
Non potendo vendere prodotti e servizi, se non via web, questo era il momento giusto per spingere a tavoletta sul marketing per mantenere il contatto coi follower in vista della riapertura (soprattutto per quei settori più duramente colpiti dalla serrata, ovvero quelli non essenziali e dei servizi, come ristorazione, viaggi e turismo).
In molti non lo hanno fatto, poiché non si sono preparati per tempo o perché non si sono applicati e non hanno approfittato del momento, restando fuori dagli occhi, dalle menti e dai cuori dei loro clienti.
Basterà riaprire le serrande quando il lockdown sarà terminato per recuperare quei clienti o questi resteranno con chi aveva fatto loro compagnia quando erano costretti a stare chiusi in casa?
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4. UN'ECONOMIA PIÙ GREEN (?)
La trasformazione e l'innovazione non riguardano solo l'evoluzione tecnologica e digitale di cui sopra, ma anche quello dell'impatto dell'uomo sull'ambiente e sulla natura. L'ecosostenibilità - lo voglio sottolineare - non è, per così dire, un semplice "vezzo da ambientalista".
Prima dell'arrivo della pandemia, i cosiddetti Green Jobs rappresentavano il 13,4% del totale in Italia (3 milioni in termini assoluti, secondo il Rapporto GreenItaly) ed aumentavano di anno in anno.
Ora questa tendenza sarà tutta da confermare, ma non dobbiamo dimenticarci che le cause scatenanti del COVID19, come pure delle epidemie del recente passato (SARS, MERS, Ebola, AIDS) e del prossimo futuro, sono da ricercarsi proprio nell'impatto sempre più devastante che l'uomo ha sulla natura.
È Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM di Pavia, che ce lo spiega dalle pagine de La Stampa in "Il coronavirus e il nostro futuro prossimo", citando fra tali cause i «cambiamenti climatici che modificano l’habitat dei vettori animali di questi virus, l’intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, la sovrappopolazione, la frequenza e rapidità di spostamenti delle persone».
Tesi confermata dall'OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che già da diversi anni aveva previsto che l'aumento del rischio di epidemie virali cresce in un mondo dove il delicato equilibrio tra uomo e microbi viene alterato da diversi fattori, tra i quali i cambiamenti del clima e degli ecosistemi.
Questo è David Quammen durante un Ted Talk del 2013 ripreso dallo speciale di Atlantide, Storie di uomini e di mondi, Un pianeta contro (che, a proposito, ti consiglio di vedere per intero)...
Il crollo del prezzo del petrolio ne farà risalire i consumi, però l'inquinamento influisce in maniera determinante sulla diffusione delle epidemie favorendone la proliferazione (vedi il caso della Pianura Padana, confermato da diversi studi), mentre il surriscaldamento globale potrebbe addirittura liberare virus preistorici rimasti imprigionati per millenni nei ghiacci che si stanno sciogliendo.
Perciò, sebbene la crisi colpirà sicuramente gli investimenti pubblici e privati, dovremo continuare sulla strada della trasformazione digitale e del Green New Deal se non vorremo compromettere irrimediabilmente la nostra società e il nostro pianeta (ammesso che non lo siano già...).
E in tutto questo, quanto sarà importante il ruolo delle start-up più innovative? Anche qui lo Stato dovrà impegnarsi molto per facilitare la loro diffusione ed evitare che muoiano in fasce...
5. THE SHUT-IN WORLD
Posto che, almeno in Italia, non eravamo pronti alla pandemia nemmeno dal punto di vista delle infrastrutture digitali, tanto che più volte si è temuto il collasso della rete, la spinta al digitale comporta delle conseguenze che sono già sotto gli occhi di tutti e che hanno già caratterizzato questa quarantena:
più e-commerce e social-commerce;
più delivery (consegne a domicilio);
più smart working e servizi on-demand, dalle lezioni alle consulenze.
Tutti elementi che determinano la cosiddetta shut-in economy, l'economia chiusa o fra i confini, la quale «fa riferimento a tutto ciò che è on-demand, ordinato da casa, chiesto e usufruito online».
Dell'e-commerce abbiamo già detto prima, ma occorre aggiungere che una spinta ulteriore la riceverà anche il social-commerce, cioè la compravendita di prodotti partendo dai social network. Facebook e Instagram erano già due immense piattaforme pubblicitarie, secondi vettori di online ads dopo Google, ma ora il loro marketplace crescerà ancora di più.
Tuttavia, personalmente, mi aspetto una rinascita anche dei piccoli negozi al dettaglio sotto casa. Prima la loro esistenza era stata minacciata tanto dai grandi centri commerciali quanto dallo stesso commercio online, ma, se è vero che pure la spesa casalinga sul web ha subito un fortissimo incremento (sotto Pasqua si è registrato un +178%), è altrettanto vero che le limitazioni agli spostamenti e il divieto di assembramenti che hanno provocato le file fuori dai supermercati, unitamente al bisogno di un minimo di socialità e alla ritrosia di buona parte degli italiani (specie i più âgé) allo shopping online, possono rinvigorire queste piccole attività.
Durante la quarantena, le vendite al dettaglio sono cresciute mediamente del 3,3% (fonte: ANSA), ma se vorranno consolidare questo trend dovranno comunque integrare i loro servizi con internet e con le consegne a domicilio.
Infine forte impulso allo smart working in tutte le sue accezioni: diventeranno più telematici non solo il lavoro d'ufficio, non solo le riunioni svolte per mezzo di uno schermo (il 42% degli italiani lo ha sperimentato per la prima volta in questi mesi), ma anche la fornitura di consulenze (anche quelle mediche) e poi la formazione scolastica, universitaria e professionale (prima volta per il 57% degli italiani - fonte: McKinsey).
Ancora una volta il gap tecnologico e infrastrutturale, l'analfabetismo digitale più o meno accentuato fra i più adulti, la difficoltà per tutti di poter reperire gli strumenti adeguati (pensiamo alle fasce socio-economiche più fragili) rallenteranno una realizzazione piena di questa tendenza e richiederanno un intervento pubblico forte e determinato, però la strada è inevitabilmente segnata.
E tu come hai pensato che sarà il mondo del prossimo futuro e come ti sei preparato per affrontarlo? Fammelo sapere commentando qui sotto o in privato e, per favore, se pensi possa interessare i tuoi amici, condividi questo post. Grazie!
TAG: #coronavirus #COVID #COVID19
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